
Il Centro Storico
Note ricavate dalle ricerche storiche di Mons. Elia Piu, Parroco della "Magnifica Comunità di Marano", che si ringrazia sentitamente.
"Se Venessia no la fossi, Maran sarìa Venessia ... " dice un detto antico, ora più usato dai forestieri che non dagli stessi maranesi.
E' un detto che più che sottolineare gli improponibili paragoni con la Serenissima, sta ad indicare un modo di essere inequivocabile: tutto a Marano parla ancora e porta l'impronta di Venezia. Questa impronta può essere vista sotto tre aspetti: quello urbanistico, quello linguistico e quello sociale.
ASPETTO URBANISTICO
Pur non esistendo la gloriosa fortezza veneziana, tuttavia il centro storico, un tempo delimitato dalla stessa, è rimasto nella sua struttura portante, identico.
Guardandolo dall'alto in veduta aerea vi si può ancora scorgere il triangolo che formava l'agglomerato di case di un tempo, con la punta a sud, ancora intatta, unico resto delle mura avite. Il centro storico, che a prima vista potrebbe dare l'impressione di un ammasso disordinato di case, sorte ad occupare il poco spazio esistente, senza alcun ordine e piano prestabilito, si rivela invece all'occhio attento, una perfetta "lisca di pesce" con il dorso portante costituito dalla via principale, sulla quale danno tutte le calli adiacenti in perfetta simmetria e parallele fra di loro. Il cuore del centro storico è la piazza, detta popolarmente "granda", dominata dalla superba torre millenaria, dalla quale fanno capolino i busti di alcuni provveditori del '600, che hanno voluto lasciare un segno del loro passaggio. Fanno bello spicco pure il palazzo dei Provveditori, i pozzi ed il resto di quella che è stata la loggia, centro della vita commerciale ed amministrativa di quel tempo. La piazza armoniosa nelle sue linee architettoniche, è un salotto di rara bellezza. Lungo la via Principale, che "ab immemorabili" è dedicata all'avvenimento più importante ed antico avvenuto a Marano, il Sinodo, a causa della penuria di spazio e di abitazioni, sono scomparsi i portici, incorporati nelle case. Durante i lavori di ripristino non è raro difatti ancor oggi scoprire gli archi e le colonne, sia quelli che davano sulla via Principale, come quelli che davano sul lato o sulle calli. Questi ultimi erano più piccoli. Calli più o meno strette, campielli graziosi e chiacchierecci sono ancor oggi il segno visibile e l'impronta grandissima, che quasi quattro secoli di dominio veneto hanno lasciato a Marano.
ASPETTO SOCIALE
Il forestiero che viene a Marano resta colpito, non soltanto dalla struttura esterna, dalla differente attività lavorativa che vi si esercita, ma soprattutto dal modo di vivere della sua gente, aperto, gioioso e rumoroso. E' il modo di vivere delle città di mare, vissute a lungo, come Chioggia, Caorle, Grado, ecc... sotto il dominio veneto. La gente ha il piacere di trovarsi sulla strada, di passeggiare, di cantare.
La domenica pomeriggio, e nelle stagioni favorevoli ogni sera, il centro presenta una animazioni straordinaria. Si va su e giù, parlando ad alta voce; si formano dei crocchi, dove si ride o si discute animatamente. Assieme si va all'osteria a prendere un buon bicchiere di vino. Famiglie intere mettono al centro del loro relax domenicale la passeggiata o, come si dice in maranese, "la caminada": da casa in "riva", cioè in pescheria con passaggio obbligato per piazza grande e per via Sinodo. Su e giù fino all'ora di cena, senza preoccuparsi di altro.
Un tempo era facile incontrarsi anche in gruppi che cantavano a squarciagola le canzoni più in voga; ora il canto lo si ode ancora, ma è riservato agli incontri in osteria. Fra il vasto repertorio risuonano con bella frequenza le canzoni venete, le canzoni del posto. "O Venessia sei la regina, la regina sei del mare", un canto che i maranesi eseguono a pieni polmoni, col petto in fuori, quasi a sottolineare il legame storico, che ancor oggi li lega alla regina della laguna.
ASPETTO LINGUISTICO
Ricordo ancora con simpatia un aneddoto che mons. Galletti raccontava con la sua nota arguzia. Tanti anni fa, in seminario, un professore si trovava in difficoltà a far capire ad un giovane seminarista maranese il significato della parola forestiero. A modo di esemplificazione gli chiese: "Come chiamate voi a Marano uno che non sta sul posto, che viene da fuori?". Al che, candidamente il ragazzo rispose: "Ah sior, a quei, nàntre ghe disèmo furlani". Anche ai nostri giorni dai ragazzi, tutti quelli che capitano a Marano sono detti "furlani". Tutto questo discorso per dire che Marano, pur facendo geograficamente parte del Friuli, si sente un'isola e vive realmente fuori dai problemi, dalla mentalità, dal modo di vivere e di parlare del Friuli. Questo però senza nessun disprezzo e nessuno sciovinismo.
Il maranese si sente veneto con orgoglio e con la stessa fierezza custodisce la lingua che i padri gli hanno tramandato: il maranese. E' questa, un dialetto, che trova le sue origini nella lingua vetero veneta (che ha dato origine alle tante forme dialettali venete) e che ha assunto degli accenti e dei toni particolari, legati alla dura vita della pesca, che è stata ed è ancora l'attività primaria dei suoi abitanti. Una caratteristica che subito colpisce di questo dialetto è il principio passato in «ò», che sta ad indicare una certa forza di impatto e di rapporto con l'interlocutore, fondato non sull'etichetta e sulla convenzionalità, ma sulla realtà e crudezza della vita quotidiana. «Xè pecò» per dire: è peccato; «gò magnò» per dire: ho mangiato; «son stò» per dire: sono stato; «gò pescò» e tante altre, sono certamente espressioni cariche di categoricità e nello stesso tempo di una sonorità che colpiscono l'orecchio di chi ascolta, senza lasciargli spazio a repliche di sorta.
E' una cosa meravigliosa anche, ascoltare i vecchi, perché usano un repertorio di parole maranesi genuine, che purtroppo ai nostri giorni, causa il più facile contatto con l'esterno, vanno scomparendo. Un patrimonio meraviglioso che è la espressione concreta del modo di essere, di vivere e di esprimersi di questa singolare comunità. Anche qui, come del resto altrove, ci sono due grossi pericoli, che ne minano la sopravvivenza. Uno è quello di chi si vergogna di usare il dialetto e parla italiano, per paura di farsi vedere un minorato sociale, ma è di pochi in verità; il secondo, molto più diffuso invece, ed anche più pericoloso, è quello di non usare i modi di dire ed i termini più antichi e caratteristici, per adattarsi ad un veneto più generico e senza sale. Ciò potrebbe a lungo andare portare alla morte del dialetto vero e proprio, facendo così perdere e cadere una di quelle caratteristiche che fanno di Marano una comunità unica e irripetibile nella nostra regione.
Chi viene a Marano, ha subito la sensazione di trovarsi in un luogo diverso dagli altri: le case tutte a ridosso le une sulle altre, le strette calli, le piazzette animate da chiacchiereccio, l'andare e venire della gente lungo la via principale, le numerose vestigia che ricordano una storia lontana sì, ma integrata nel tessuto stesso della vita di ogni giorno. Le vestigia del passato, a Marano, sono per lo più legate al dominio della Serenissima e di questo ne abbiamo già fatto cenno. Ne riprendiamo ora il discorso per sottolineare l'importanza e dire qualcosa di più su alcuni monumenti che attirano l'attenzione del visitatore e le cui pietre racchiudono una storia che merita di essere conosciuta.
Questi sono:
IL CENTRO STORICO in generale, ed in particolare:
LA TORRE CIVICA,
LA LOGGIA MUNICIPALE,
LA PIAZZA MONUMENTALE.
Il Centro storico
Passa sotto questo nome quella parte di Marano che un tempo era delimitata dalle mura della fortezza e che ancora conserva il carattere urbanistico con la quale è nata. A dire il vero in questo secolo sono stati fatti dei lavori che hanno rovinato in qualche parte l'antico splendore, ma per fortuna sono stati pochi e la vecchia armonia appare ancora quasi intatta, così come ci si può rendere conto dando un'occhiata alla pianta del 1540 del G. Cortona.
Il vero problema del centro storico è però costituito dal restauro. La gente non può abitare in case vecchie, umide, senza sole. Finora è stato imposto di lasciare tutto come prima e di ricostruire allo stesso modo, almeno estemamente. Si è però preteso che ciascuno facesse di testa e tasca propria, imponendo solo dei vincoli. Era scontato che non ne nascesse un restauro vero e proprio, ma soltanto dei rabberciamenti fatti alle bell'e meglio. Si impone a questo punto una legge speciale anche per Marano, che preveda un restauro particolareggiato in piena regola, in modo da conservare le vestigia del passato, correggere gli errori, creare delle abitazioni per l'uomo d'oggi e soprattutto aiutare con finanziamenti i possessori delle case. Non è possibile fare come si è fatto finora: pretendere che faccia tutto il privato. Le sue possibilità (nel centro abitano tanti vecchi e tanti poveri) o non gli permettono mai di accingersi ad una vera riparazione e sistemazione, o quando la fa, non la può eseguire nei modi dovuti, che sono molto costosi.